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Quando è nata la macchina da espresso?

Quando è nata la macchina da espresso?

La bevanda italiana più famosa al mondo ha una lunga storia: la pianta del caffè, infatti, come abbiamo visto, è arrivata da molto lontano, dall’Etiopia probabilmente, e la sua diffusione è avvenuta soprattutto a seguito degli scambi commerciali tra Oriente e Occidente, ma anche a seguito di alcune guerre.

Tante sono anche le invenzioni legate al suo consumo, come quella della tazzina, per esempio. 


Ce n’è una, però, che più di tutte ha rappresentato una vera rivoluzione: l’invenzione della macchina da espresso per il bar, che ha subito una serie di evoluzioni e cambiamenti per diventare lo strumento che oggi tutti conosciamo e che vediamo ogni giorno dietro il bancone.

Siete pronti a scoprire la sua storia?

L’invenzione della macchina da caffè espresso

La prima macchina per fare il caffè espresso è nata intorno alla fine dell’Ottocento, in Italia.

Il suo successo non è stato immediato, ma in tanti hanno colto il suo potenziale e hanno perciò cercato di sfruttarlo attraverso la registrazione di un brevetto, negli anni seguenti.

Se fino al 1910 ne furono rilasciati da 1 a 5 ogni anno, nel 1911 erano 15 e nel 1913 addirittura 22.

Negli anni a ridosso e durante il primo conflitto mondiale, il numero di brevetti scese, ma a quell’epoca risalgono il brevetto del portafiltro e quello della macchina automatica, entrambi ottenuti da Pier Teresio Arduino.

Il primo brevetto di Angelo Moriondo

Il primo brevetto per una macchina da espresso risale al 1884 e porta il nome di Angelo Moriondo, un industriale di Torino che aveva intuito quanto fosse comodo preparare il caffè in breve tempo e poterlo gustare appena estratto.

Moriondo, tuttavia, non volle mai sfruttare industrialmente la sua invenzione, si limitò alla costruzione artigianale di pochi prototipi da utilizzare nei suoi esercizi.

Moriondo aveva, infatti, ipotizzato che quell’oggetto potesse attirare un maggior numero di clienti.

Il nome di questo industriale è sconosciuto a molti, che attribuiscono invece l’invenzione a Luigi Bezzera.

Luigi Bezzera e La Pavoni

Bezzera si ispirò alla macchina da espresso di Moriondo per progettare la sua, che brevettò nel 1902.

Ben consapevole del potenziale di quell’invenzione, Luigi Bezzera vendette il brevetto all’azienda La Pavoni, che ne avviò la produzione a livello industriale.

Com’era fatta una macchina per espresso da bar, all’epoca?

Era piuttosto diversa da quelle a cui siamo abituati oggi: si trattava, infatti, di un grosso cilindro verticale con all’interno una caldaia in ottone, mantenuta in pressione da un fornello a gas.

Lateralmente alla caldaia erano posizionati dei gruppi in cui veniva messo il caffè. Per ottenere un espresso, bisognava girare un rubinetto: l’acqua in ebollizione e il vapore passavano attraverso il caffè e l’estrazione durava circa un minuto.

Le innovazioni del secondo dopoguerra

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945, Angelo Gaggia avviò la produzione di un modello di macchina da espresso differente, che funzionava con un sistema a leve.

Questa novità è alla base del caffè espresso come lo conosciamo oggi.

Le caratteristiche della bevanda estratta cambiarono, infatti, grazie a due importanti innovazioni tecniche: la diminuzione della temperatura dell’acqua da 120 °C a 90 °C – che servì a eliminare lo sgradevole retrogusto di amaro che ancora caratterizzava il caffè – e l’aumento della pressione che arrivò a circa 9 atmosfere (prima era 1,5) creando la crema, segno di riconoscimento dell’espresso.

Gli anni ‘60 e ‘70

La macchina a leva fu sostituita alcuni anni dopo, quando la ditta Faema lanciò il modello E61, in occasione dell’eclissi del 1961, introducendo importantissime evoluzioni.

La macchina non sfruttava più una pressione manuale, infatti, ma aveva una pompa elettrica: ciò rendeva meno faticoso il lavoro dell’operatore.

L’innovazione più rilevante, tuttavia, riguardò un passaggio dell’estrazione del caffè, la preinfusione, introdotta proprio con queste macchine.

Questa fase prevedeva che prima che la pompa applicasse la pressione sul caffè, l’acqua calda rimanesse per alcuni secondi a contatto con la polvere.

Anche l’introduzione di uno scambiatore di calore fu molto importante, perché stabilizzò la temperatura: si trattava di un tubo in cui circolava acqua che, passando dentro la caldaia, si scaldava e uscendo sul gruppo si raffreddava.

La doppia caldaia, invece, fu introdotta da La Marzocco nel 1970 e permetteva di produrre centinaia di caffè al giorno, mantenendo intatta e uniforme la qualità della bevanda.

I primi distributori automatici di caffè

Nel secondo dopoguerra, oltre alle macchine da espresso, la ditta Arduino produsse anche una sorta di carrello trasportabile – un vero e proprio distributore automatico di caffè ante litteram – che si chiamava ‘Carrel bar’.

La caldaia funzionava con una bombola di gas e la macchina, che era destinata ai baristi ambulanti, fece la sua comparsa su numerose banchine ferroviarie, dove i viaggiatori in arrivo e in partenza potevano così ristorarsi con una tazzina di caffè caldo.

Quante tipologie di macchine da caffè espresso ci sono?

ome abbiamo visto, la storia della macchina da espresso è ricca di invenzioni e miglioramenti, tutti volti a ottenere una bevanda di qualità sempre più elevata.

Dalle prime invenzioni di Moriondo, alle innovazioni contemporanee, il funzionamento di una macchina da bar per il caffè espresso è cambiato molto: vediamo allora su quali principi si basano quelle che sono in commercio oggi.

Le macchine a pistone

Le macchine da espresso a pistone possono essere a leva oppure automatiche.

Nella prima tipologia, la pressione nel gruppo di erogazione è assicurata da un pistone spinto da una molla.

Quando si abbassa la leva esterna, il pistone interno si alza e l’acqua della caldaia (che è riscaldata da una fonte di calore) raggiunge la camera di preinfusione e viene a contatto con il caffè macinato nel portafiltro.

Quando si riporta la leva in posizione, la molla spinge il pistone verso il basso, l’acqua presente nel gruppo attraversa il pannello di caffè, realizzando così l’estratto.

Le macchine automatiche a pistone utilizzano lo stesso principio, ma invece di una leva attivata manualmente hanno un sistema idraulico.

Le macchine a erogazione

Sono in assoluto le più diffuse e possono essere automatiche o semiautomatiche. Nelle prime, il dosaggio di erogazione è predeterminato: l’operatore aziona il tasto di erogazione e, mentre attende l’estrazione, può svolgere altre attività, perché il flusso si ferma da solo. Nelle semiautomatiche, invece, l’operatore controlla la dose mediante un interruttore.

Le macchine elettroniche

Queste macchine offrono diverse e sofisticate funzioni. Alcuni modelli, infatti, hanno un display multifunzione che gestisce il conta erogazioni, la temperatura dell’acqua e della caldaia, e controllano automaticamente il raggiungimento della temperatura impostata nelle lance vapore. Altri modelli, invece, sono dotati di un computer di bordo che ottimizza il consumo energetico.

Le macchine superautomatiche

Si tratta dei modelli più avanzati di macchine da caffè espresso, che possono ridurre al minimo il lavoro dell’operatore. Se programmate opportunamente, infatti, possono macinare, dosare, compattare, erogare il caffè ed espellere i fondi in totale autonomia.

Alcune sono dotate di 2 macinadosatori e fino a 4 tramogge, che permettono di estrarre diversi tipi di caffè.

Possono, inoltre, essere provviste di un sistema di refrigerazione per la conservazione del latte fresco destinato alla produzione automatica dei cappuccini.

Alcune macchine superautomatiche, infine, hanno software sofisticati che controllano le attività, permettono la rilevazione statistica dei consumi, ma anche l’autodiagnosi di eventuali anomalie e la teleassistenza.

Il nostro viaggio nel mondo delle macchine per espresso da bar non si è ancora concluso, perché a breve vi parleremo delle loro componenti e di altri dettagli tecnici.

Nel frattempo, scriveteci nei commenti: conoscevate la storia di questa invenzione?

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